La tempesta, rappresentata sotto forma di mise en éspace presso il penitenziario minorile di Nisida nella prima giornata del Napoli Teatro Festival, è uno spettacolo dalla doppia faccia. È innegabile sottolineare il valore che ha questo omaggio sia a Shakespeare che a Eduardo, che tradusse La Tempesta in napoletano seicentesco nel 1983 e che è alla base della lettura scenica diretta da Fabrizio Arcuri: valore commemorativo, ma anche sociale, come punto di arrivo di un percorso laboratoriale con i ragazzi dell’Istituto Penale Minorile.
Ed è anche innegabile che sono molti gli elementi a favore dello spettacolo, al di là della splendida location naturale e un panorama mozzafiato che guarda a Ischia. Sicuramente tra questi elementi vi è una scenografia intelligente, funzionale, che ha reso l’isola di Prospero quasi una napoletana “Isola che non c’è” alla Peter Pan, dando al tutto un tocco fiabesco, ingenuo e positivamente infantile. Quindi anche la musica dal vivo, basata su quella di Antonio Sinagra per la celebre edizione de La tempesta eduardiana dei Fratelli Colla.
Tuttavia, alcune cose non funzionano, dando così allo spettatore una sensazione di superficialità nella realizzazione del tutto. La prima questione che si pone riguarda proprio la scelta di realizzare questa Tempesta come lettura scenica. Una volta che si ha una scenografia così intelligente, costumi, musica dal vivo, sembra quasi obbligato il passaggio dalla lettura alla recitazione a memoria. La scelta della lettura scenica dava quasi l’idea di trovarsi ancora in fase di prove.
Ulteriore elemento di discussione è l’interpretazione. Premettiamo subito che proprio i ragazzi del laboratorio teatrale di Nisida (che hanno lavorato a memoria) sono risultati perfettamente in parte, bravi, spiritosi, capaci, che potrebbero avere un bel futuro davanti, con un plauso particolare per l’interprete di Stefano. Tra i professionisti, al di là di un buon Calibano e un altrettanto buon narratore (siamo pur sempre in una lettura scenica con brani tratti da Shakespeare ed Eduardo, quindi il narratore è d’obbligo come raccordo), si possono riscontrare delle pecche non da poco. Michele Placido è sembrato a tratti fare il verso a Eduardo, nella voce, nei toni, nella mimica, dando vita a un personaggio che più che a Prospero, nel suo rapporto con la figlia Miranda e con lo spirito Ariele, assomigliava a Luca Cupiello. Se il rapporto con Miranda, affettuoso, pateticamente paterno, era in fondo giustificato dallo stesso Eduardo, l’interagire tra Prospero e Ariele, per come qui realizzato, ha qualcosa che stona e di fastidioso, qualcosa che sembra non essere né farsa né parodia, ma una presa in giro che vuole in tutti i modi accattivarsi le simpatie del pubblico senza riuscirci.
[Photo: napoliteatrofestival.it]