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La bellezza salverà il mondo. ( O porti al terzo posto)

È stato bello trovarsi fra tripudi silenti di bandiere contrapposte nei colori; napoletani e catanesi hanno deciso di non aver niente per cui combattersi. Ma questa cosa brucia, questa cosa fa male anche solo a doverla scrivere, nonostante sia una cosa buona se si parla del mondo del calcio. Perché tu ti aspetti che la gente non si faccia la guerra per un pallone. Perché tu speri che i millenni di menti eccelse ed idee grandiose abbiano reso più sopportabile pure la povertà, persino l’ignoranza. Ma forse non è l’ignoranza il male più grande, quanto invece il fatto che tutti insieme si accetti che dei ragazzi si sfascino le teste allo stadio, che si accoltellino appena fuori, che si urlino ingiurie con occhi spiritati e pieni di odio, come fosse satana contro satana. Gente semplice, forse soltanto vuota, che con semplicità e vuotezza offende l’altro, ne danna l’anima, mentre i più restii al vivere comune, imbracciano spranghe, indossano passamontagna, fanno brillare lame alla luna o al sole, indistintamente.

E persino l’esasperazione di tutto ciò, finanche il morto, diventa soltanto l’ennesima notizia di cui parlare venuta fuori dal telegiornale dei secoli. Nella settimana in cui l’allenatore del Verona Mandorlini pare svestirsi della solita retorica non accettando una maglietta da parte di un bambino a Nocera, con su scritto “Benvenuti al sud”, l’amicizia guerrafondaia fra napoletani e catanesi pare essere un miracolo. E la cosa più assurda è che, forse, lo è per davvero. Per una volta il sud non mangia il sud, ma non dovremmo essere qui a parlare di questo. Dovremmo tutti poter stare in tutti gli stadi del mondo a goderci questo gioco che unisce e richiama ad un senso di partecipazione, liberatorio come il tifo sa essere, anche se scalmanato, perché no volgare, pecoreccio se serve.

Napoli – Catania è stato il confuso manifesto di un mondo, quello del calcio, con ancora troppi punti oscuri, prima di diventare sul campo partita vera, con due squadre in salute di risultati, dove però una aveva da perdere e l’altra evidentemente no. Un Catania già salvo è partito al San Paolo col piglio giusto: pressing, chiusa dietro senza mai rinunciare a ripartire e con un Almiron che permette alla squadra di gestire il pallone in modo sapiente, e frustrante per gli azzurri che non sono riusciti per tutto il primo tempo a trovare spazi. L’assenza di Maggio sembra davvero un freno per le varianti di gioco; senza  il pendolino veneto il Napoli si accorge di essere schiavo della bellezza: niente arriva che non sia bello da vedere. Due gol mirabili, che avrebbero dovuto mettere in cassaforte tre punti che, dallo stadio e dalla tv, sembravano proprio non dover arrivare. La compagine azzurra ha immolato tutto il primo tempo per accorgersi di non poterla vincere, questa partita. Così che quando Pandev è subentrato ad Hamsik, è stata proprio la bellezza presente a secchi nei piedi del macedone a cambiare il registro. Spunti veloci, palle filtranti, movimenti arguti per bucare quella che di certo non è la difesa più veloce e arcigna del torneo. Un miracoloso tiro di un Dzemaili determinante (in tutta la stagione al pari di Inler. Il che può far nascere due tipi di considerazioni tra esse contrastanti: o si ritiene Dzemaili un acquisto determinante, oppure Inler lo si rimanda a Settembre) spezza le mani di un Carrizo fino a quel momento convincente, e poco dopo una stilettata poetica di Goran il Terribile che disegna in porta un Cavani particolarmente sbadato ma sempre generoso, arrivato anche quest’anno alla soglia dei 20 gol. Un 2 a 0 che non ti aspetti, ma tutto sommato meritato, perché quando il Napoli fa sfoggio delle sue armi più lucenti allora resta davvero ben poco da dire. Ma non da fare, a quanto pare. Due calci d’angolo, e ti ricordi perché non lottiamo fino all’ultima giornata per lo scudetto o superiamo un Chelsea palesemente domato. 2 a 2, e Diakite’ a fare il resto. Mazzarri si mostra scuro in volto nel dopopartita, e capisci il perché dei suoi cattivi presagi nelle interviste settimanali. Il Napoli è stanco, comincia a mancare irrimediabilmente di lucidità, ma mentre gli avanti riescono, con la Bellezza, comunque ad inventare soluzioni, i soldati nelle retrovie vengono spesso puniti forse più di quanto meriterebbero. Ma bisogna dire, ad onor di cronaca, che Campagnaro perde colpi e uomini ad ogni incontro e De Santis non riesce ad istillare serenità quando si tratta di palle alte. Dovremo farci bastare la tesi di Mazzarri per quanto riguarda la sostituzione di Fernandez invece, sia perché crediamo nella sua onestà, sia perché siamo sicuri che egli stesso sappia che gente come Cannavaro e Inler rende meno a partita in corso, e quindi il farli subentrare in questo punto della stagione, quando oramai si è al confine tra la celebrazione e il fallimento, va letto come un chiaro segno di necessità e non di una carnevalesca voglia di protagonismo.

Ci aspettano due incontri chiave. Due trasferte consecutive. La Malamata Juventus, fortino inespugnabile, domenica sera in posticipo, e poi la Lazio, in pre-mattanza caprina. Dovrà compiere l’ultimo sforzo, questo Napoli. Vincerne una, magari, e non perdere l’altra. Il terzo posto oggi è più lontano di ieri, ma sempre a un passo, un passo che la bellezza può colmare di sicuro, ma in certi momenti il come non conta, c’è un traguardo da raggiungere ad ogni costo.

Alle mente tornano le parole di un grande scrittore, l’Antonio Tabucchi scomparso ieri ma immortale:

Potremmo essere tante cose, ma la vita è una sola e ci obbliga a essere solo una cosa, quella che gli altri pensano che noi siamo.

C’è da sperare che gli azzurri sappiano davvero di esseri forti. O che si facciano bastare il fatto che lo pensiamo noi.

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