Domenica 27 settembre scorso, appena qualche giorno prima dell’intitolazione dell’ex vicoletto Donna Albina, quartiere San Giuseppe, al ricordo dell’indimenticabile Pino Daniele (cerimonia che ha suscitato alcune polemiche, non ultima quella di aver apposto la targa su un muro tutto sporco, e proprio alla memoria di chi denunciava “Napule è na carta sporca e nisciuno se ne ‘mporta”), si è tenuto a Napoli “Napul’è ‘na camminata/Int’e viche mmiez all’ate”.
L’appassionante itinerario sui luoghi di Pino è stato condotto da Michelangelo Iossa e Carmine Aymone, giornalisti e critici musicali oltre che organizzatori e curatori della Mostra Rock!, un progetto artistico musicale fra i più interessanti del Pan di Napoli, che, arrivato alla sua 5a edizione, ha dedicato ampio spazio al musicista napoletano e ad altri giganti della storia del rock mondiale. In una splendida ma fresca mattina di sole, le due “guide” d’eccezione hanno condotto gli ospiti – un discreto numero – in giro per le strade, i vicoli e le piazze che hanno accompagnato la formazione musicale e personale del giovane bluesman e hanno raccontato di quel periodo, fino alla consacrazione del personaggio internazionale, originale e innovativo, che è poi diventato il maestro Pino Daniele.
Il percorso musicale è stato arricchito da una serie di racconti e aneddoti sull’artista e sulla città, e sottolineato da una selezione di tracce dell’artista intimamente collegate al percorso seguito. Parecchi i temi legati a Pino, alla sua musica e a Napoli esplorati da Iossa e Aymone e inquadrati idealmente nei vari punti della città: la gioventù di Pino, il rapporto con i marinai americani e la musica che arrivava a Napoli proprio dagli stati Uniti, gli amici storici, la scuola, la famiglia, il mare, la denuncia sociale figlia del Sessantotto, il rapporto con l’amico Massimo Troisi, la religione, il lavoro. E, poi, le lotte contestatarie dell’epoca, i sentimenti, l’origine della composizione dei pezzi più famosi, le leggende cittadine e i riferimenti culturali e storici presenti all’interno dei pezzi. E il racconto della Napoli greca e di quella delle altre innumerevoli dominazioni, le storie di un popolo che “cammina sott’o mur” e il “tuppo” di Donna Concetta, l’interesse di Pino per i canti gregoriani e i madrigali, i ricordi di Pino ragazzo sempre seduto sui gradini e i muretti di San Pietro a Majella, San Sebastiano, Santa Teresa o Santa Chiara con la chitarra in braccio, a suonare, senza mai fermarsi.
E ancora, in un racconto fiume senza fine, scopriamo pure che Pino è stato bassista per gli Showmen di James Senese e Mario Musella e chitarrista, se pur per un breve periodo, per Bobby Solo, durante un suo tour all’estero. E, infine, come non ricordare l’invenzione linguistica dell’anglo-napoletano, cifra distintiva di un genere definito dallo stesso Pino “tarumbò” e influenzato dagli artisti più diversi, da Elvis Presley (che lui amava particolarmente) a George Benson, da Roberto Murolo a Carlos Santana. Intensi i momenti in cui si è passati sotto la casa natale, poi sotto quella di uno dei fratelli, Carmine (il ‘O Gio’ di I got the blues) e, infine, quando si è raggiunto il palazzo del famoso Fortunato dell’omonima canzone. Un tour che ha toccato i luoghi storici della città, da Piazza Bellini a Santa Maria La Nova, da San Pietro a Majella fino al Castel dell’Ovo, passando per Via Medina e Piazza del Plebiscito. Uno di quei momenti, insomma, in cui ti senti un (bel) po’ più felice e in cui, da napoletana, come suggerisce Carmine Aymone, diventi una cosa sola con il tufo, la lava e il mare di cui siamo fatti.