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Cinema

Un ricordo di Nanni Loy e l’uscita in dvd di Scugnizzi

Scugnizzi

Nanni Loy (1925 – 1995), cagliaritano di nascita ma praticamente napoletano d’adozione vista la simpatia umana ed artistica costantemente rivolta alla capitale del Sud, ispirazione per molti suoi film, nasceva novant’anni fa e scompariva venti anni or sono, lasciando una cospicua eredità artistica: regista di cinema e televisione, sceneggiatore e occasionalmente attore (lo ricordiamo in Lettera aperta al giornale della sera di Citto Maselli), inventore in tv della candid-camera all’italiana nel celebre programma Specchio segreto, ha dedicato a Napoli e alla napoletanità alcune delle sue opere migliori. A partire dal suo capolavoro, Le Quattro Giornate di Napoli (1962), che coniugava recente storia resistenziale ed epica corale in un formula cinematografica che andava oltre la vulgata neorealista, passando per Café Express (1980) e Mi manda Picone (1984), commedie drammatiche incentrate sull’arte tutta partenopea di arrangiarsi con interpreti in ottima forma come Manfredi e Giannini, e meno convincenti prove a episodi come Pacco, doppio pacco e contropaccotto (1992), ma infilando opere a loro modo epocali che tentavano di esplorare diverse vie di racconto della napoletanità, come la commedia-musical Scugnizzi (1989).

Riproposto in dvd (extra, solo il trailer e una galleria fotografica, € 9,99) da Mustang (distribuzione CG Home Video) a un quarto di secolo dalla sua realizzazione, ispirato a uno spettacolo musicale del paroliere-producer Claudio Mattone, Scugnizzi coniuga abilmente intrattenimento e impegno civile nel raccontare, dietro e davanti le quinte, la messa in scena di uno spettacolo teatrale su Napoli da parte di un gruppo di adolescenti detenuti nel Riformatorio di Nisida, pericolosamente in bilico tra devianza e speranza in una vita normale. Sulle note di brani divenuti poi di culto come Scetate, Magnifica gente e Zoccole, Loy racconta la vita difficile di questi ragazzi di vita che mettono in scena se stessi (centrando una meritata Osella d’oro per l’interpretazione corale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1989), ibridando l’origine teatrale e musicale del testo (riscritto per il cinema da Loy ed Elvio Porta) con i registri della commedia drammatica e del realismo sociale, lavorando d’esperienza sul montaggio (che predilige l’alternato e non disdegna lo split-screen per mescolare realtà e finzione, canzoni e dramma), affidandosi alle facce giuste (Leo Gullotta presta il volto a Fortunato Assante, regista scapestrato ma sensibile) e a un finale intelligente sospeso tra fatalismo e speranza, che chiude il cerchio sulla disperata vitalità dei napoletani, un popolo capace di vivere in bilico sulle proprie ataviche sventure e di rialzare sempre la testa quando tutto sembra perduto.

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